- Introduzione ai diversi approcci terapeutici: cosa sapere
- Principali caratteristiche degli approcci
1. Introduzione ai diversi approcci terapeutici: cosa sapere
Negli ultimi anni, soprattutto a seguito del COVID, la salute mentale è diventato un tema sempre più centrale nelle nostre vite. Cresce l’interesse per la psicoterapia in generale, ma rimangono molti dubbi riguardo i diversi orientamenti esistenti nel particolare.
In questo articolo vorrei dare una panoramica di alcuni approcci alla psicoterapia. Ad oggi lo psicoterapeuta si trova spesso online e avere un’idea della cornice teorica di riferimento dello psicoterapeuta può essere utile soprattutto in fase di scelta. Inutile specificare che oltre al modello, è la persona e la relazione che si instaura (o non instaura) con essa, a fare la differenza.
Quindi, cosa sapere: lo psicologo è un professionista che, dopo la laurea triennale + magistrale (5 anni di Università) ha svolto il tirocinio professionalizzante e ha superato l’esame di stato. Dopo questo iter di 5/6 anni, un professionista può definirsi uno psicologo. Attenzione agli pseudo-psicologi, cioè persone che si vendono come esperti di salute mentale che in realtà, non lo sono, perché non hanno completato questo iter di formazione. Sul sito dell’Ordine è possibile verificare l’effettiva formazione del professionista (il mio profilo). Dopo aver ottenuto il titolo di psicologo, il professionista può continuare la sua formazione per diventare psicoterapeuta, con un percorso di specializzazione di 4 anni. Lo psicologo deve scegliere l’indirizzo della sua futura formazione: cognitivo comportamentale, sistemico relazionale, psicodinamico, gestaltico e così via… A questo punto, può esserci un po’ di confusione tra le differenze che caratterizzano i diversi approcci.
Nel secondo paragrafo diamo uno sguardo a diversi approcci psicoterapeutici, che non sono tutti gli approcci esistenti, ma quelli che ho ritrovato più spesso nella mia esperienza di vita fino ad oggi.
2. Principali caratteristiche degli approcci psicoterapeutici
Da quando il padre della psicoanalisi Sigmund Freud iniziò a porre l’attenzione sui processi psichici inconsci ad oggi, la psicoterapia ha visto grandi trasformazioni. Si delinea giá una differenza tra il termine psicoterapia e il termine psicoanalisi. Partiamo da qui. La psicoanalisi comprende diverse altre categorie di terapie cosiddette psicodinamiche. Questo approccio pone grande importanza sull’elaborazione del materiale inconscio portato dal paziente, ad esempio attraverso i sogni, le libere associazioni, lavorando con i meccanismi di difesa che agiscono per tenere il materiale inconscio lontano dalla coscienza. I meccanismi di difesa esistono per proteggere l’individuo dalla sofferenza. Attenzione ad aggredire i sintomi! Di solito i percorsi di psicoanalisi hanno una lunga durata e non per forza si basano sul raggiungimento di un obiettivo prestabilito. In passato nella mia psicoterapia personale, ho intrapreso un percorso con uno psicoanalista.
Possiamo dire che al polo opposto si fondano i presupposti teorici su cui si basa l’approccio cognitivo comportamentale, che non intende indagare il materiale inconscio ma lavorare nel qui ed ora con i pensieri e gli atteggiamenti portati dal paziente. Partendo dagli schemi di pensiero, si osserva come questi si riflettono sul comportamento. Il terapeuta propone delle strategie, spesso con un certo grado di strutturazione indicata da un protocollo, per modificare i pensieri che stanno alla base dei comportamenti. Questo approccio rispetto ad altri è più “superficiale” proprio per la caratteristica di non porre attenzione al materiale inconscio, ma lavorare più ad un livello cosciente e manipolabile direttamente. In questo caso porsi obiettivi da raggiungere all’inizio della terapia è un punto fondamentale.
La psicoterapia strategica breve si basa sull’assunto che con strategie mirate e a volte “compiti a casa” è possibile risolvere il sintomo in un tempo relativamente breve, come suggerisce il nome. In questo è simile all’approccio cognitivo comportamentale. Si differenzia da quest’ultimo per le basi epistemologiche, che attingono alla teoria della comunicazione, il costruttivismo e la teoria dei sistemi (alcuni punti in comune con la terapia sistemico relazionale, che però non ha questo carattere di brevità e di focus sui sintomi, ma piuttosto sulle risorse del paziente).
Attenzione all’eliminazione del sintomo, senza la comprensione dei meccanismi che lo sostengono: i sintomi si spostano. Risolvere il sintomo non equivale a risolvere il nucleo problematico. Sicuramente rispetto alla psicoanalisi le aspettative di durata sono più brevi. La domanda che può sorgere, è la seguente: questi approcci focalizzati sul sintomo, cioè sul “problema”, di durata breve e con obiettivi mirati, non rischiano di risolvere si il sintomo, ma non la causa sottostante, che può trovare modo di sfogarsi poi magari, con un altro sintomo, in un altro ambito della vita?
Il mio approccio, quello sistemico relazionale, punta a una risoluzione più in profondità del nodo portato dal paziente, non accontentandosi di eliminare il sintomo, ma considerandolo il segnalare un disagio che va conosciuto e affrontato. Quando arriva una persona, si cercano per prima cosa le risorse, in ottica di fare emergere gli elementi positivi. Questa persona è inserita in un contesto familiare, che viene considerato nella spiegazione del disagio individuale. Il paziente nella terapia familiare è colui che con il sintomo porta un tentativo cambiamento, permettendo la messa in discussione dello status quo. Il sintomo copre qualcosa. Il sintomo è importante. Certo, quando questo impedisce lo svolgimento di una giornata soddisfacente va risolto, ma partire con l’accanimento verso il sintomo non aiuta a risolvere veramente il disagio a cui è legato, o comunque risolve quella parte superficiale che poi tornerà a manifestarsi in un altro ambito della vita, con un nuovo sintomo. Il sintomo spesso è una metafora, i sintomi vanno ascoltati e compresi, non eliminati con il lanciafiamme. Giustamente le persone vogliono stare meglio, e risolvere i sintomi, tramite la relazione, bisogna sapersi dare obiettivi senza diventare aggressivi verso il sintomo. Questo approccio è indicato non solo per gli individui singoli, ma anche per le coppie che desiderano iniziare un percorso di terapia di coppia, e le famiglie, ad esempio con figli adolescenti.
Ci sono poi approcci che a partire dall’ inconscio non si limitano a indagare la mente con il colloquio, ma sono interessati al corpo. Si concentrano sul vissuto corporeo e l’importanza della relazione stretta che c’è tra corpo e mente. Sono gli approcci bioenergetici. Li trovo molto interessanti e credo nell’importanza del corpo nell’esprimere il disagio, della memoria corporea, del trauma che resta intrappolato nel corpo. Lo yoga e la meditazione giocano un ruolo fondamentale nel superamento di tali blocchi. Personalmente, pratico yoga e meditazione e vivo la psicoterapia in una dimensione separata.
Riassumere tutti gli approcci in un solo articolo è complicato e risulterebbe caotico. Questi sono gli approcci di cui io personalmente ho sentito parlare di più, e di cui ho avuto esperienza da entrambi i lati, cioè da paziente e da professionista. Durante il tirocinio ho avuto modo di confrontarmi con psicoterapeuti di diversi orientamenti, il che è stato interessante perché nonostante si ha il proprio modello come guida, le contaminazioni sono un arricchimento per il professionista, e per chi ne beneficia, cioè il paziente.
E’ interessante avere delle nozioni teoriche riguardo la formazione del proprio terapeuta ma a funzionare non è semplicemente il modello, ma soprattutto la persona. È il professionista che fa la differenza, anzi più precisamente la forza della terapia sta nella relazione che si instaura con esso.